sabato 13 dicembre 2008

Ruolo dei Giovani Comunisti nell'onda

Ruolo dei Giovani Comunisti nell'onda.


di Matteo Quarantiello

Improvvisa, proprio come una mareggiata, un onda appunto. Imprevedibile, come un qualcosa che ti coglie alla sprovvista, o auspicabile, come del resto ci si doveva aspettare? Il movimento che ha scosso da ormai due mesi l'Italia intera ha colto tutti impreparati, per dirla con la parole di Gramsci: “sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, [...] chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente”. Ciò che in “Gli Indifferenti” suonava come una condanna, qui è una constatazione.



A Cagliari i collettivi scolastici e universitari abituati a organizzare assemblee di venti persone, a dare volantini per vedere cinquanta studenti ai sit-in di protesta, hanno assistito in questi mesi a cortei che contano 20, 30 mila persone! Si sono ritrovati fra le mani un carico di lavoro mai visto prima, hanno tentato d'organizzare la mobilitazione in modo organico e nel frattempo hanno acquisito consapevolezza nell'intento di fornire gli stessi strumenti d'indagine ai propri compagni, ai propri colleghi. Già alla fine di Ottobre si è costituito un coordinamento interfacoltà con l'intento di calendarizzare le iniziative e coordinare la lotta, dell'analogo strumento si sono dotati più tardi gli studenti medi e ci si ritrova oggi con una vera e propria forza politica che si occupa di temi che vanno oltre le rivendicazioni studentesche iniziali.

Non dare vita a coordinamenti stabili in questa fase sarebbe un suicidio politico. Dobbiamo essere capaci di sfruttare ciò che la risacca dell'onda lascerà a disposizione, non lasciare che si arresti sulla riva.

Bisogna constatare che quest'onda ha travolto tutti, chi si ritrova a viverla tutti i giorni e chi si ritrova a costruire gli argini necessari a difendersi. Ma l'onda non accenna a fermarsi, si prepara ad un percorso di non breve durata, indaga e si rinnova ogni giorno, portando con se la riscossa di quella generazione decisa a riscattarsi, a dimostrare a tutti che l'indagine critica della realtà è il suo cavallo di battaglia.

Quest'onda ha colpito anche noi, ha colpito i comunisti, ha colpito un organizzazione (la nostra) che per troppo tempo ha individuato ovunque tranne che nel conflitto la priorità del proprio agire politico. Ma il compito dei comunisti non è porre argini a questo fiume in piena, come i settori più reazionari del Paese tentano invano di fare; compito però dei comunisti non è neanche cavalcare quest'onda col rischio di cadere e farsi molto male. Compito dei comunisti è dare gambe alla mobilitazione, riempirla di contenuti essendone parte integrante e viva.

Negli ultimi anni i GC hanno investito tutto il loro impegno politico in quella “contaminazione” di cui oggi vediamo i risultati. Non siamo presenti in tutti i territori come parte attiva, non siamo in grado di coordinare le nostre azioni, non siamo dei referenti credibili per gli studenti, insomma in poche parole: non siamo. L’unica contaminazione che abbiamo subito è quella del “non essere”, e ciò nonostante continuiamo a predicare nei nostri documenti parole d’ordine che hanno già subito un processo di fallimento.

I Giovani Comunisti in questa difficile fase devono essere la parte più attiva della mobilitazione, devono esserne parte importante e indispensabile, devono costituirsi come tassello fondamentale di un qualcosa che esige la loro partecipazione, il loro impegno. Partecipare attivamente, vivere e comprendere il disagio che emerge, indirizzare quel disagio in un ragionamento più ampio, politico, che faccia formazione continua nei luoghi in cui il conflitto viene maturato giorno per giorno. Dalle occupazioni alle assemblee, dai malumori alle perdite di tempo, i compagni e le compagne devono seguire tutte le fasi della loro realtà locale, essere consapevoli che nonostante la lotta sia iniziata e prosegua anche senza di loro è proprio di loro che si sente il bisogno.

Ciò è possibile solo col sacrificio dei compagni impegnati nei singoli luoghi di studio, così com'è possibile nei posti di lavoro fra i lavoratori. Serve un'organizzazione giovanile che sappia coordinare i compagni impegnati nelle scuole e nelle università, che li sappia fornire un indirizzo politico-organizzativo, che non li lasci allo sbaraglio come cani sciolti nel movimento. L'esigenza di una dirigenza diffusa si trasforma dunque da concetto presente nei nostri documenti politici a necessità impellente. In questo modo sarebbe possibile un'azione concreta, efficace e coordinata, per una mobilitazione che più cresce e più necessita di questo contributo. In questo contesto è auspicabile che i coordinamenti federali, regionali e nazionale dei GC diventino un reale punto di riferimento per i compagni impegnati nei territori, come strumenti in grado di fornire direttive chiare sul come comportarsi nella propria realtà locale e per portare le rivendicazioni locali ad un processo di sintesi nazionale.

L'autonomia del movimento è indispensabile quanto quella della nostra organizzazione. Non solo, se da una parte la nostra autonomia deve andare di pari passo col contributo politico che forniamo; dall'altra questo contributo è indispensabile per evitare che l'onda muoia senza lasciare nulla dietro di se. Impariamo dagli errori del passato, inseguire o sciogliersi nel movimento non aiuta il movimento stesso. Dobbiamo lavorare dentro il movimento ma contemporaneamente rendere vivo il partito, arricchendolo con quest'esperienza, affinché i compagni impegnati non subiscano il riflusso del movimento come spettatori ma continuino a portare avanti le istanze sollevate grazie al partito e a ciò che rimarrà della grande onda sollevatasi.

La ragione di questa necessità la si trova anche nel contesto in cui l'onda è nata, come movimento di contestazione al duro attacco all'istruzione, sottolineando di non voler preservare lo status quo e ampliando la propria analisi alle riforme che già in questi ultimi 15 anni hanno attaccato il diritto allo studio. Ma questo non basta e gli studenti di tutta Italia lo hanno ricordato già all'assemblea nazionale del movimento il 15 e 16 a La Sapienza: l'unità fra studenti e lavoratoti acquista significato proprio contestualizzando il problema dell'istruzione con le contraddizioni di tutta la società. Siamo difronte all'ennesimo fallimento del sistema di produzione capitalistico, dei suoi rapporti di produzione, delle sue contraddizioni intrinseche. “Noi la crisi non la paghiamo”, uno slogan di un peso politico straordinario, che va ben oltre un'autoriforma dell'università, il quale richiede un contributo politico complessivo che il partito della rifondazione comunista ha il dovere di fornire.

2 commenti:

Rifondazione Libera ha detto...

scusate, ma da chi è firmato questo articolo?

Dottor X ha detto...

da Matteo Quarantiello, scusate ho scordato di scriverlo...