giovedì 18 dicembre 2008

METTIAMO IL 1969 E NON IL MURO DI BERLINO SULLA NOSTRA TESSERA

Nei giorni scorsi è stata presentata alla segreteria nazionale la bozza di tessera 2009 dei/delle Giovani Comunisti/e. Sul fronte compare l’immagine del muro di Berlino che, all’indomani della riapertura della frontiera, viene scavalcato da un gruppo di ragazzi in festa. Sul retro, invece, c’è l’immagine di un’assemblea di movimento, con decine di giovani in cerchio in una qualche università occupata. L’obiettivo ci pare chiaro.

Si vogliono accomunare questi due avvenimenti: come vent’anni fa un’onda di libertà e democrazia travolse il cosiddetto «socialismo reale», oggi l’Onda travolge la politica e la società italiana. Non è in questione, per quanto ci riguarda, un approccio critico verso la storia dei Paesi dell'Est. Il problema sono gli intenti con cui lo si esprime. Anche Occhetto, sciogliendo il Pci, criticò radicalmente quell’esperienza, ma con l'obiettivo di spostare ulteriormente a destra il baricentro del partito. Oggi il Partito Democratico è il figlio legittimo di quell'impianto ideologico e allo stesso tempo, non casualmente, propugnatore del sistema bipolare.



Di fronte alla possente campagna ideologica anticomunista che verrà lanciata dai media, approfittando per l'appunto del ventesimo anniversario della caduta del muro, i/le Giovani Comunisti/e dovrebbero avere il compito di lanciare una campagna politica capace di indagare criticamente, con atteggiamenti né apologetici né liquidatori, le ragioni di quel crollo e di mettere in evidenza come la restaurazione del libero mercato nei Paesi dell'Est sia coinciso, al di là di ogni giudizio di merito, con l’affermazione del modello capitalistico e con la radicalizzazione della violenza in esso immanente.

Per questo il crollo del muro di Berlino ha un valore simbolico rilevantissimo ed è diventato l’icona del trionfo del capitalismo. L’evento che avrebbe dovuto (secondo gli ideologi del capitale) «chiudere la storia» e inaugurare una nuova epoca di pace e prosperità ha aperto le porte ad un ciclo cupo di guerre, di diffusione epidemica della povertà, di distruzione dei diritti, di accentramento oligarchico delle leve del potere.


Oggi quest’illusione giunge al capolinea. Perché, allora, riprendere sulle nostre tessere l’evento che la simbolizza? Perché trasformare nell’emblema di chi lotta per il cambiamento un evento così problematico? Non ci dice nulla il fatto che diverse organizzazioni politiche di destra abbiano costruito in questi anni almeno una tessera, un manifesto, un volantino, una iniziativa pubblica intorno a quell’evento, riconoscendolo – nei fatti – come un simbolo (forse il simbolo) dell’anticomunismo militante?


Non vorremmo che il fine di una simile scelta fosse provocare scientemente la sensibilità di migliaia di compagne e compagne, inducendoli a desistere dal rinnovare l’iscrizione all’organizzazione. Del resto, non è un caso che la proposta non sia emersa al termine di un dibattito e di un confronto in coordinamento nazionale in cui ciascun iscritto e ciascuna iscritta si fosse potuto esprimere rispetto all’icona che meglio rappresentasse il nostro pensiero e il nostro agire politico.


Per parte nostra l’iscrizione all’organizzazione non è in discussione. Anzi, oggi più che mai ci sentiamo coinvolti in un’impresa politica – rafforzare i/le Giovani Comuniste/i – a cui tutti noi quotidianamente contribuiamo. Per questo avanziamo, costruttivamente, una richiesta ben precisa: valorizziamo (richiamandolo graficamente) un altro anniversario, il quarantennale del 1969, di quella straordinaria annata di conflitto sociale e politico animata dall’intreccio delle lotte di lavoratori e studenti. Oltre che una scelta più fortunata, potrebbe essere un buon auspicio per l’oggi. L’unità tra lavoratori e studenti: ecco la nostra storia, ecco l’obiettivo a cui crediamo debba guardare la straordinaria Onda in campo in questi mesi e, con essa, la nostra organizzazione.


Invia la tua adesione a: cambialatessera@gmail.com

sabato 13 dicembre 2008

Ruolo dei Giovani Comunisti nell'onda

Ruolo dei Giovani Comunisti nell'onda.


di Matteo Quarantiello

Improvvisa, proprio come una mareggiata, un onda appunto. Imprevedibile, come un qualcosa che ti coglie alla sprovvista, o auspicabile, come del resto ci si doveva aspettare? Il movimento che ha scosso da ormai due mesi l'Italia intera ha colto tutti impreparati, per dirla con la parole di Gramsci: “sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, [...] chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente”. Ciò che in “Gli Indifferenti” suonava come una condanna, qui è una constatazione.



A Cagliari i collettivi scolastici e universitari abituati a organizzare assemblee di venti persone, a dare volantini per vedere cinquanta studenti ai sit-in di protesta, hanno assistito in questi mesi a cortei che contano 20, 30 mila persone! Si sono ritrovati fra le mani un carico di lavoro mai visto prima, hanno tentato d'organizzare la mobilitazione in modo organico e nel frattempo hanno acquisito consapevolezza nell'intento di fornire gli stessi strumenti d'indagine ai propri compagni, ai propri colleghi. Già alla fine di Ottobre si è costituito un coordinamento interfacoltà con l'intento di calendarizzare le iniziative e coordinare la lotta, dell'analogo strumento si sono dotati più tardi gli studenti medi e ci si ritrova oggi con una vera e propria forza politica che si occupa di temi che vanno oltre le rivendicazioni studentesche iniziali.

Non dare vita a coordinamenti stabili in questa fase sarebbe un suicidio politico. Dobbiamo essere capaci di sfruttare ciò che la risacca dell'onda lascerà a disposizione, non lasciare che si arresti sulla riva.

Bisogna constatare che quest'onda ha travolto tutti, chi si ritrova a viverla tutti i giorni e chi si ritrova a costruire gli argini necessari a difendersi. Ma l'onda non accenna a fermarsi, si prepara ad un percorso di non breve durata, indaga e si rinnova ogni giorno, portando con se la riscossa di quella generazione decisa a riscattarsi, a dimostrare a tutti che l'indagine critica della realtà è il suo cavallo di battaglia.

Quest'onda ha colpito anche noi, ha colpito i comunisti, ha colpito un organizzazione (la nostra) che per troppo tempo ha individuato ovunque tranne che nel conflitto la priorità del proprio agire politico. Ma il compito dei comunisti non è porre argini a questo fiume in piena, come i settori più reazionari del Paese tentano invano di fare; compito però dei comunisti non è neanche cavalcare quest'onda col rischio di cadere e farsi molto male. Compito dei comunisti è dare gambe alla mobilitazione, riempirla di contenuti essendone parte integrante e viva.

Negli ultimi anni i GC hanno investito tutto il loro impegno politico in quella “contaminazione” di cui oggi vediamo i risultati. Non siamo presenti in tutti i territori come parte attiva, non siamo in grado di coordinare le nostre azioni, non siamo dei referenti credibili per gli studenti, insomma in poche parole: non siamo. L’unica contaminazione che abbiamo subito è quella del “non essere”, e ciò nonostante continuiamo a predicare nei nostri documenti parole d’ordine che hanno già subito un processo di fallimento.

I Giovani Comunisti in questa difficile fase devono essere la parte più attiva della mobilitazione, devono esserne parte importante e indispensabile, devono costituirsi come tassello fondamentale di un qualcosa che esige la loro partecipazione, il loro impegno. Partecipare attivamente, vivere e comprendere il disagio che emerge, indirizzare quel disagio in un ragionamento più ampio, politico, che faccia formazione continua nei luoghi in cui il conflitto viene maturato giorno per giorno. Dalle occupazioni alle assemblee, dai malumori alle perdite di tempo, i compagni e le compagne devono seguire tutte le fasi della loro realtà locale, essere consapevoli che nonostante la lotta sia iniziata e prosegua anche senza di loro è proprio di loro che si sente il bisogno.

Ciò è possibile solo col sacrificio dei compagni impegnati nei singoli luoghi di studio, così com'è possibile nei posti di lavoro fra i lavoratori. Serve un'organizzazione giovanile che sappia coordinare i compagni impegnati nelle scuole e nelle università, che li sappia fornire un indirizzo politico-organizzativo, che non li lasci allo sbaraglio come cani sciolti nel movimento. L'esigenza di una dirigenza diffusa si trasforma dunque da concetto presente nei nostri documenti politici a necessità impellente. In questo modo sarebbe possibile un'azione concreta, efficace e coordinata, per una mobilitazione che più cresce e più necessita di questo contributo. In questo contesto è auspicabile che i coordinamenti federali, regionali e nazionale dei GC diventino un reale punto di riferimento per i compagni impegnati nei territori, come strumenti in grado di fornire direttive chiare sul come comportarsi nella propria realtà locale e per portare le rivendicazioni locali ad un processo di sintesi nazionale.

L'autonomia del movimento è indispensabile quanto quella della nostra organizzazione. Non solo, se da una parte la nostra autonomia deve andare di pari passo col contributo politico che forniamo; dall'altra questo contributo è indispensabile per evitare che l'onda muoia senza lasciare nulla dietro di se. Impariamo dagli errori del passato, inseguire o sciogliersi nel movimento non aiuta il movimento stesso. Dobbiamo lavorare dentro il movimento ma contemporaneamente rendere vivo il partito, arricchendolo con quest'esperienza, affinché i compagni impegnati non subiscano il riflusso del movimento come spettatori ma continuino a portare avanti le istanze sollevate grazie al partito e a ciò che rimarrà della grande onda sollevatasi.

La ragione di questa necessità la si trova anche nel contesto in cui l'onda è nata, come movimento di contestazione al duro attacco all'istruzione, sottolineando di non voler preservare lo status quo e ampliando la propria analisi alle riforme che già in questi ultimi 15 anni hanno attaccato il diritto allo studio. Ma questo non basta e gli studenti di tutta Italia lo hanno ricordato già all'assemblea nazionale del movimento il 15 e 16 a La Sapienza: l'unità fra studenti e lavoratoti acquista significato proprio contestualizzando il problema dell'istruzione con le contraddizioni di tutta la società. Siamo difronte all'ennesimo fallimento del sistema di produzione capitalistico, dei suoi rapporti di produzione, delle sue contraddizioni intrinseche. “Noi la crisi non la paghiamo”, uno slogan di un peso politico straordinario, che va ben oltre un'autoriforma dell'università, il quale richiede un contributo politico complessivo che il partito della rifondazione comunista ha il dovere di fornire.

Lenin lettore di Marx


Lenin lettore di Marx.


Determinismo e dialettica nella storia del movimento operaio


Di Gianni Fresu



(Prefazione di Nicola Tranfaglia)



Tra la maggioranza degli storici del pensiero politico contemporaneo, sociologi, politologi e opinionisti di varia natura, è oramai consolidata una tendenza a rappresentare sommariamente Lenin come un «dottrinario» rigido e ortodosso. Il Novecento è stato già archiviato come il secolo degli orrori, delle dittature, e all'interno di questa lettura apocalittica Lenin è stato individuato come l'origine del peccato, come il diavolo a cui vanno imputate tutte le sciagure e i lutti di un «secolo insanguinato», fascismi compresi. A novanta anni dalla rivoluzione d’ottobre, la necessità di ritornare sulle premesse filosofiche dell’opera e dell’attività di Lenin sorge anzitutto dall’esigenza di evitare simili scorciatoie e avviare un lavoro analitico il più possibile serio e rigoroso. Ciò è necessario se si ha l’ambizione di comprendere fino in fondo l’evento che maggiormente ha segnato la storia dell’umanità nel corso del Novecento. Lenin lettore di Marx nasce da questa urgenza.

martedì 9 dicembre 2008

Prosegue la mano dura della polizia


Terzo giorno di scontri in Grecia. Nuova battaglia a Salonicco tra studenti e polizia

Torna la violenza e la guerriglia nelle strade di Salonicco. All'indomani delle violente proteste di piazza che hanno infiammato l'intera Grecia, in seguito all'uccisione di un quindicenne da parte della polizia, una nuova battaglia e' scoppiata nel cuore di Salonicco, la seconda citta' del Paese: centinaia di studenti si sono riversati nella strade, ingaggiando furibondi scontri con gli agenti in assetto anti-sommossa.

In pieno centro i dimostranti, almeno trecento, dopo aver cercato di attaccare un commissariato hanno assaltato negozi e distrutto veicoli in sosta, dando luogo a scene di vera e propria guerriglia urbana.

Tre agenti feriti negli scontri con gli studenti nella città greca di Trikala, mentre ad Atene gli studenti hanno occupato le università.

Occupato il consolato greco a Berlino
Si e' conclusa in serata, dopo otto ore, l'occupazione pacifica del Consolato greco di Berlino da parte di una ventina di dimostranti che questa mattina erano entrati nell'edificio in segno di protesta per la morte di Alexis Grigoropoulos, lo studente di 15 anni ucciso dalla polizia sabato scorso ad Atene.

Secondo quanto scrive l'agenzia di stampa tedesca Dpa, non ci sono stati arresti. I manifestanti hanno sostituito la bandiera greca con un lenzuolo bianco con il nome del ragazzo e la scritta 'Assassini di Stato' e, nel corso della giornata, sono rimasti seduti in alcune stanze del Consolato. Il gruppo, spiega la Dpa, ha consegnato alle autorita' greche una lettera di protesta. Intanto, circa 60 dimostranti sono rimasti davanti al Consolato, controllati a vista da circa 120 poliziotti.

Karamanlis convoca vertice di governo
Il premier greco Costas Karamanlis ha riunito questa sera un vertice ristretto di governo per discutere la situazione, alla vigilia dell'incontro che avrà domani con il presidente della repubblica Karolos Papoulias. Karamanlis si è riunito con i ministri di Esteri, Interno, Difesa, Economia per discutere la situazione sulla scia dei disordini che stanno attanagliando Atene e le principali città del Paese dopo l'uccisione di uno studente sabato scorso.

Domani Karamanlis si incontrerà, dopo aver parlato col presidente, anche con i leader di tutti i partiti di opposizione, a cominciare da quello del Pasok, Giorgio Papandreou, e tutti gli altri partiti.

mercoledì 3 dicembre 2008

Il sito del circolo Gramsci TORNA ONLINE


GramsciCagliari.org ...Ritorna OnLine!!

Con estrema gioia possiamo annunciare che dopo oltre 10 mesi d'inattività, il sito del glorioso Circolo "Antonio Gramsci" di Cagliari torna online!! Diversi sono stati i motivi che hanno portato a trascurarlo ma nonstante questo il circolo ha lavorato tanto in quest'ultimo anno, come del resto ci si doveva aspettare. Abbiamo deciso per l'occasione di dotarlo di una nuova veste grafica e di una nuova organizzazione dei contenuti, rivoluzionando nel complesso tutto il portale ma senza far andare perduti tutti i materiali che nei suoi tre anni di attività sono stati raccolti. Sulla sinistra troverete quindi la sezione col vecchio materiale archiviato, presto verranno anche ripristinati tutti i download coi libri e i vari testi che venivano messi a disposizone.
Cercheremo di tenerlo costantemente aggiornato individuando diversi compagni che possano adempiere al compito, il CMS utilizzto è Jommla! (ovviamente un software open source) che consente, tra le altre cose, una gestione estremamente semplice del portale nella sua totalità anche da parte dei "profani" del settore.
Di volta in volta, all'emergere delle necessità, implementeremo il portale di nuove sezioni, contenuti e materiali, anche accettando il consiglio di diversi compagni e utenti del web.

Detto questo non posso che augurarvi buona navigazione...
www.gramscicagliari.org

Saluti Comunisti
M.Q.

lunedì 17 novembre 2008

Pubblicità progresso

In attesa di un resoconto sull'assemblea nazionale del movimento sull'Istruzione...



mercoledì 12 novembre 2008

Due Compagni di merdende









Soru: «Primarie ok. Ma se c'è un altro, esca in 15 giorni, mi candido comunque Non ascolterò più chi vuole perdere» Sintonia con Vendola e Rifondazione

di Marco Murgia


A volerla trovare, una differenza tra i due personaggi c'è. Tutta politica, anche se non dipende esattamente da loro. Al primo, per sua stessa ammissione, «le primarie non le chiedono i miei avversari dentro la mia stessa maggioranza: perché dovrei chiederle io?». Al secondo, le primarie le chiedono in diversi: e una parte di chi non le chiede apertamente, sotto sotto ci spera e ci lavora. Il primo è Nichi Vendola, governatore della Puglia; il secondo Renato Soru. Insieme al dibattito organizzato da Rifondazione comunista, su autonomia e rinascita, che è pure il tema del quarto congresso regionale del partito. Allora il presidente della Sardegna coglie la palla al balzo: «Aspetterò due settimane il possibile candidato per le primarie di coalizione. Trascorso questo tempo il candidato del centrosinistra sarò io». La dice così, semplicemente.

Poi la spiega bene: dice di essere favorevole alle primarie, sempre, ma anche che la consultazione «non deve servire per farci perdere le elezioni. E io non voglio ascoltare tanto quelli che vogliono perdere le elezioni». Il ragionamento è netto: le elezioni regionali sono molto più vicine di quanto possano sembrare, allora è inutile e dannoso perdere altro tempo. C'è una campagna elettorale da iniziare in modo chiaro, quindi «è necessario che le primarie, da fare non sui nomi ma sui progetti dei candidati, si debbano tenere entro gennaio, anche per dare modo al vincitore di farla con una coalizione compatta». Quindici giorni sono un tempo ragionevole «per presentare un programma, raccogliere le firme e fare il nome di un candidato».

In un colpo solo da una parte mette gli alleati davanti alla chance di presentare un nome alternativo al suo, e tutti quelli che lo chiedevano potrebbero rispondere. Dall'altra è un messaggio anche per il centrodestra: noi ci siamo. E non è poco, visto che dall'altra parte è sfumata l'opzione Beppe Pisanu, unico in grado di accontentare tutti, e si pensa di lavorare al programma prima del candidato: lì non ce n'è neppure uno, anche se potranno contare sulla macchina organizzativa di Silvio Berlusconi e sull'apporto neanche tanto indiretto di diversi ministri pronti a parlare qui e là della Sardegna.

È l'unico momento in cui Soru si prende tutta la scena. E pure gli applausi convinti del popolo di Rifondazione: che questi due, lui e Vendola, piacciono. Luciano Uras, capogruppo in Consiglio regionale, li presenta come «due tra i presidenti con più personalità per capacità propositiva, guardati dalle altre regioni come un esempio». Piacciono, questi due personaggi, e si piacciono pure a vicenda. Rispondono alle domande di Filippo Peretti, de “La Nuova Sardegna” e presidente dell'Ordine dei giornalisti isolano, dicendo cose tipo: «Adesso, Renato, ti dico questa cosa», oppure «forse Nichi non sa che...».

E invece le sanno, le cose. Perché sono molto simili, i risultati e gli obiettivi: anche se uno viene da Rifondazione e l'altro dal Partito democratico. C'è l'interesse per la scuola e l'istruzione, a esempio, con l'assegno di merito per gli studenti sardi («Seimila euro l'anno a fondo perduto», ricorda Soru, «perché prima di darli a imprenditori che vengono qui in Sardegna per aprire una fabbrica e poi se ne vanno, preferiamo permettere ai figli della nostra terra di studiare tranquillamente») o la sede del Dams a Lecce (perché, rilancia Vendola «molti degli studenti che vanno a Bologna arrivano dal Salento, e chissà quante famiglie non potranno più premetterselo»).

C'è l'interesse per l'ambiente, con il piano paesaggistico in Sardegna e la ripulitura dall'amianto di diverse spiagge in Puglia; c'è l'attenzione per le fonti energetiche rinnovabili ma non per lo sfruttamento selvaggio a favore di pochi imprenditori; c'è la sanità insieme alla necessità di ridurre i costi della politica e snellire la pubblica amministrazione: ereditate dalle precedenti giunte di centrodestra in condizioni molto diverse da quelle attuali. E così via, secondo due percorsi che sono molto simili in tutte le idee generali: anche per quanto riguarda gli investimenti in porti e aeroporti, non solo come strumento per far arrivare turisti ma per aprirsi al mondo. Che è vasto , e non è che siccome una è un'isola e l'altra il tacco d'Italia le due regioni devono restare chiuse in sé stesse.

A pensarci, è proprio l'idea delle due terre proiettate sul mondo a rendere Soru e Vendola così simili. Al di là del documento sottoscritto due giorni fa a Palermo insieme alle altre regioni del Mezzogiorno, dai termini - fa notare Peretti - forse un po' antiquati. Però il punto era mettere in evidenza che c'è un sud che ha voglia di fare, di rilanciarsi: «Non è tutto Gomorra, se ci convinciamo di questo», dice Vendola, «allora è proprio finita».

Il richiamo alla questione meridionale sta tutto lì: non più quella in voga sino a 20 anni fa, quanto una replica alla questione settentrionale venuta fuori in questi anni. La prima basata su unificare e sulla speranza della crescita, dicono, la seconda sulla separazione e sulla paura. Allora c'è una sola via: «Dobbiamo essere meglio del nord e, allo stesso tempo», è Soru a spiegarla, «stare attenti a non farci fregare».

Differenze pochissime. Fatica, Peretti, a farli andare in contraddizione tra loro. Se Soru è accusato di dirigismo, Vendola chiarisce che per lui l'accusa è di essere un poeta: «Ma ho abbandonato Foscolo per le delibere», dice e sorride. Prendono applausi, tanti e convinti, alla fine di questo incontro. Vengono da strade diverse e si sono incontrati, parlano alla stessa gente e piacciono in maniera uguale. In un caso e nell'altro, non sarà poesia. Ma empatia, quella sì.

sabato 8 novembre 2008

Cossiga denunciato


"Sappiano questi signori che non permetteremo che l'università
diventi un covo di indiani metropolitani, freaks,hippie..."
Francesco Cossiga, 17 Febbraio 1977


Cossiga denunciato per istigazione a delinquere e apologia di reato
Cinque cittadini si rivolgono alla Procura di Roma per le dichiarazioni rilasciate al Quotidiano Nazionale


Un prete, un avvocato, una grafologa e due ex insegnanti - cinque semplici cittadini - hanno denunciato stamattina alla Procura della Repubblica di Roma il senatore a vita Francesco Cossiga per istigazione a delinquere e apologia di reato. La denuncia nasce dopo le dichiarazioni rilasciate dall'ex Presidente della Repubblica al Quotidiano Nazionale su come infiltrare e strumentalizzare, con il fine ultimo di liquidare, il vasto movimento popolare nato nelle ultime settimane in difesa della scuola pubblica e del diritto allo studio garantito dalla Costituzione.
Per Cossiga il movimento è da: «Infiltrare con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città. Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri […] Le forze dell'ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli e picchiare anche quei docenti che li fomentano».
«Chiediamo pertanto che si proceda penalmente a carico del senatore Francesco Cossiga per i reati suddetti e per tutti quelli che potranno essere ravvisati – ha dichiarato Piero Leone, ex insegnante che stamane si è recato alla Procura di Roma. Si tratta di dichiarazioni molto gravi in quanto provengono da un personaggio che ha ricoperto i ruoli più elevati nelle istituzioni della Repubblica Italiana. Con questa denuncia vogliamo semplicemente difendere la democrazia e la Costituzione del nostro paese.»
Per Alessandro Santoro, prete fiorentino della Comunità delle Piagge: «E' assurdo che queste dichiarazioni passino sotto silenzio. Sono un invito alla violenza e ricordano, purtroppo, le modalità tipiche della strategia della tensione. Auspichiamo che la Procura proceda speditamente nel suo lavoro, perché è assurdo che un senatore a vita, ex Presidente della Repubblica, e quindi garante dei principi costituzionali si ponga all'attenzione per dichiarazioni che non esitiamo a definire fasciste.»
I reati ravvisati dai denuncianti nell'intervista del 23 ottobre scorso (oggi disponibile sulla rassegna stampa del governo http://rassegna.governo.it/testo.asp?d=32976406) sono: istigazione a delinquere - commessa pubblicamente come richiesto dalla legge per la sua punibilità - rivolta sia al ministro dell'interno Maroni sia agli stessi organi di polizia preposti all'ordine pubblico (art. 414 CP) sia ai militari, i Carabinieri, a disobbedire alle leggi e a violare il giuramento compiuto sulla Costituzione (art. 266 CP). Si ravvisa infine la colpa di apologia di reato (ancora art. 414 CP) in relazione ai reati da lui commessi all'epoca in cui era ministro dell'interno e solo ora confessati.
«Sappiamo che anche altri stanno muovendosi per denunciare Francesco Cossiga - ha concluso Piero Leone. Chi volesse aderire alla denuncia può contattarci all'indirizzo mail piero.leone@gmail.com.»

martedì 4 novembre 2008

L'informazione imbavagliata

Il Generatore di Ottimismo

Egregio Presidente del Consiglio. Capiamo la Sua necessità di ricevere al più presto la nostra invenzione, ma non siamo purtroppo ancora in grado di soddisfarLa: il Generatore Elettronico di Ottimismo non è ancora pronto. I nostri laboratori lavorano 24 ore su 24, gli esperimenti continuano senza interruzione, ma la sperimentazione sui soggetti sensibili presenta qualche problema. Applicato alle onde cerebrali di un precario della scuola, il Generatore Elettronico di Ottimismo produce fasi psichiche ben distinte: una vaga incazzatura prima, e una netta aggressività dopo. Naturalmente, visto l'uso di massa che il governo intende fare del Generatore di Ottimismo, è chiaro che la macchina deve essere affidabile. Abbiamo registrato fastidiosi intoppi sui soggetti cassintegrati, aumentati del 70% in pochi mesi. Anche qui il Generatore di Ottimismo sembrava funzionare, ma dopo qualche istante, il risultato è stato opposto: i soggetti sottoposti al test sono diventati intrattabili e scostanti, con una preoccupante tendenza alla mobilitazione e al turpiloquio contro il Suo governo. Durante i test con i ricercatori universitari, un nostro tecnico è stato aggredito e si è messo in salvo per miracolo. Per ora gli effetti collaterali più vistosi sono un aumento della sfiducia nei confronti di qualunque cosa rappresenti il governo e in particolare la Sua figura. Naturalmente abbiamo condotto esperimenti mirati, ma anche qui non è andata bene: azionato su un soggetto sensibile che ascoltava una dichiarazione di Cicchitto, il Generatore di Ottimismo è addirittura esploso causando un'interruzione della corrente. È triste dirLe che per un funzionamento affidabile del congegno bisognerà aspettare qualche tempo, forse se non si tagliassero i fondi alla ricerca potremmo darLe notizie più confortanti. In attesa di un positivo sviluppo, il nostro consiglio è di continuare a usare i suoi telegiornali.
Alessandro Robecchi
il manifesto, 02/11/2008





RAI: DELL'UTRI, AL TG3 FACCE TROPPO GOTICHE, TROPPO DARK

(ASCA) - Roma, 4 nov - ''Negli ambienti della Rai ci sono ancora oggi dirigenti che sono stati messi dalla sinistra e che quindi rispondono a logiche di sinistra. E' difficile cambiare la televisione se prima non si cambiano gli uomini.E' difficile pensare che migliori la qualita' della comunicazione quando a guidarla c'e' gente che alimenta una visione negativa della vita''. Lo sostiene il senatore Marcello Dell'Utri, intervistato da Klaus Davi per ''KlausCondicio'', prendendo spunto dalle recenti affermazioni del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi sulla televisione deprimente. Dell'Utri assicura che in questa direzione ''qualcosa si sta gia' facendo. Berlusconi in prima persona continua a diffondere ottimismo. Io penso che qualcosa per forza dovra' cambiare, non so cosa, con la nuova Rai, ma comunque qualcosa cambiera'''. Un cambiamento che potra' realizzarsi partendo da un nuovo approccio stilistico, riflette Dell'Utri. ''Le notizie, certo, bisogna darle, senno' si torna al fascismo, ma c'e' modo e modo di comunicarle. Magari con conduttori piu' gradevoli di adesso.Io guardo il TG3, ad esempio - dice il senatore - e vedo che ci sono degli anchorman che hanno gia' una faccia un po' gotica, un po' dark. Sicuramente, ce ne sono piu' in Rai che sugli altri network. Credo che il direttore del telegiornale dovrebbe dimostrare un maggiore esprit de finesse in queste cose. Farle, dirle lo stesso, ma magari con un'altra espressione''.


RAI: USIGRAI, INDIGNAZIONE PER IRRUZIONE SEDE E ATTACCO DELL'UTRI

(ASCA) - Roma, 4 nov - ''Per noi la giornata di mobilitazione promossa domani dalla Fnsi contro le norme bavaglio sara' anche la giornata dell' indignazione. Con questo spirito e con lo striscione Usigrai parteciperemo domani, al fianco dei colleghi cronisti, alla manifestazione al Teatro Capranichetta a Montecitorio''. Cosi', in una nota il Sindacato dei giornalisti della Rai, che protesta contro l'irruzione violenta di stanotte nella sede romana di via Teulada e le osservazioni del senatore del Pdl, Marcello Dell'Utri sull'informazione del servizio pubblico.''L'irruzione di una quarantina di persone nella sede Rai di via Teulada e le minacce contro la trasmissione 'Chi l'ha visto?' costituiscono un fatto di inaudita gravita' e senza precedenti. La matrice comune tra alcune norme che si vogliono introdurre e la violenza sta - sottolinea l'Usigrai - nel volere il silenzio: c'e' chi vuole si taccia sulle cose che non gli piacciono. Si tratta di un qualcosa che non riguarda solo i giornalisti, ma tutti i cittadini. Noi nel dare la solidarieta' ai colleghi, diciamo, invece, andate avanti, raccontate senza auto-censure, oltre che un giudice a Berlino in questo Paese c'e' pur sempre una pubblica opinione''.''Indignazione anche per il continuo intromettersi sul nostro modo di fare informazione da parte della politica.Oggi ci siamo sentiti spiegare da un singolare pulpito, quello del senatore Dell'Utri, come devono e non devono essere i conduttori, in particolare del Tg3; 'la faccia non deve essere gotica, il dark non va'. Prima che ce la diano, stiamo pensando noi a una divisa, la fara' cucire l' Usigrai - conclude il sindacato dei giornalisti Rai -, ma se e quando la metteremo, lo faremo per dire alla gente che stiamo trasmettendo informazione non libera''.


EDITORIA: FERRERO, BENE RINVIO TAGLI MA NON BASTA

(ASCA) - Roma, 4 nov - ''La notizia che e' arrivata dalla commissione Bilancio della Camera dei Deputati, la quale ha deciso di escludere dal conteggio dei tagli ai fondi pubblici per l'editoria quelli previsti per l'anno in vigore, rimandandoli all'esercizio finanziario successivo a quello di entrata in vigore del regolamento di riordino, e' una buona notizia. Certo, non basta, perche' in ogni caso la legge finanziaria varata dal governo prevede comunque, in prospettiva, una forte diminuzione dell''importo destinato al sostegno all'editoria (262 milioni di euro per il 2009, e cioe' ben 152 milioni di euro in meno rispetto al 2008, con una diminuzione effettiva del 36% per il comparto) e che non vi e' affatto certezza che i tagli maggiori non li subiranno giornali di partito e quelli editi da cooperative''. Lo scrive in una nota il segretario del Prc Paolo Ferrero.''Resta, pero', il primo segnale d'inversione di tendenza rispetto alla sciagurata normativa introdotta da Tremonti con i tagli all'editoria: inversione di tendenza che si deve - sottolinea Ferrero - alla campagna di sensibilizzazione messa in campo dai giornali della sinistra (Liberazione e manifesto in testa), dai vertici del sindacato dei giornalisti e persino dagli editori, alla battaglia politica che ci ha visto in prima fila, come Rifondazione, assieme a molte altre forze della sinistra, e soprattutto alle chiare e inequivocabili parole pronunciate dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che si e' speso piu' volte per richiamare tutti - Parlamento e governo - al rispetto e alla tutela della liberta' e del pluralismo, nel campo dell'informazione. E' al capo di Stato, in particolare, che voglio dire grazie''.

lunedì 27 ottobre 2008

Prosegue la mobilitazione

Cari Compagni,


in questi giorni d'intensa attività abbiamo seguito poco questo blog, da una parte ciò vuol dire che i compagni non hanno neanche il tempo di sedersi al computer, dall'altro significa non tenere informati i propri lettori.
Nelle università la protesta inizia ad avere un'organizzazione sorprendente, formatosi da una settimana circa il coordinamento interfacoltà gli studenti in agitazione si son dati un nome: Unica-Mente contro la 133. A tal proposito hanno tirato su in brevissimo tempo un portale Web che raccoglie iniziative, materiale e quant'altro riguardi la mobilitazione a Cagliari e non solo.




Anche gli studenti medi iniziano a dare gambe oltre che voce alla mobilitazione, dopo i diversi cortei spontanei che in questi giorni avrete visto su TV e giornali inizia per loro un embrione organizzativo. Nel mediocampidano in particolare la protesta ha toni incredibili e questo è un importante blog creato dagli studenti in agitazione:





C'è da dire inoltre che i Giovani Comunisti sono impegnatissimi nel dare un contributo importante alle diverse iniziative ai vari livelli, impegnati nel dare l'indispensabile contributo organizzativo e quella direzione politica che i comunisti hanno la responsabilità di garantire in questa fase.


Con questo brevissimo excursus vi lascio augurando a tutti buon lavoro

alla lotta

Matteo Quarantiello - resp. Scuola Università per l'esecutivo regionale




venerdì 24 ottobre 2008

Comunicato stampa: studenti d'ingegneria e architettura.

Gli studenti, i docenti e i ricercatori uniti e compatti di Architettura e Ingegneria dell'Università degli studi di Cagliari riunitesi in assemblea di facoltà Giovedì 23 Ottobre con oltre 700 studenti, coi rispettivi presidi, con una rappresentanza delle altre facoltà cagliaritane, dopo un confronto ragionato attraverso numerosi interventi, si sono espressi in merito alla legge 133. Particolare attenzione è stata dedicata alle ripercussioni nell'ateneo e nella società italiana.

Gli studenti e il corpo docente presenti sottolineano la gravità di queste ripercussioni e ritengono che solo un abbrogazione degli articoli inerenti ai tagli all'istruzione possa consentire il mantenimento di un'università pubblica e una ricerca autonoma e libera dalle dinamiche d'impresa e di mercato.

Gli studenti, i ricercatori e i docenti sono concordi nell'organizzare una serire d'iniziative che coinvolgano la facoltà stessa ma anche la cittadinanza sulla mobilitazione e sulle istanze che si solleveranno in merito alla legge 133, alle sue ripercussioni concrete nella realtà locale con: lezioni pubbliche all'aperto, lezioni itineranti per le vie cagliaritane e altre forme di mobilitazione.

L'assemblea esprime infine la sua solidarietà alla mobilitazione sulla scuola, al suo appuntamento del 30 Ottobre 2008, alla mobilitazione universitaria nel resto d'Italia e ritiene necessaria una riforma universitaria, non dei tagli indiscriminati.

Gli studenti d'ingegneria e architettura proseguono in questi giorni la loro assemblea permanente.

lunedì 20 ottobre 2008

Scuola, Università, Cultura: no ai tagli!

UNIVERSITA': CAGLIARI, MOBILITAZIONE CONTRO TAGLI E LEGGE 133

(AGI) - Cagliari, 20 ott. - Sale il livello della protesta dell'universita' di Cagliari dove gli studenti sono mobilitati contro la Legge 133 e i paventati tagli agli atenei. Oggi, in tarda mattinata, intorno alle 14, circa 200 studenti hanno protestato spontaneamente sfilando fino alla sede del Rettorato, in via Universita'. Gli universitari sono stati ricevuti dal rettore Pasquale Mistretta, il quale e' stato sollecitato a prendere posizione ufficialmente sulla protesta.
Dopo la replica del rettore, che secondo gli studenti, ha in sostanza rigettato la proposta appellandosi al suo ruolo istituzionale, la manifestazione spontanea si e' sciolta.
Prosegue intanto l'assemblea permanente nella sede di Magistero, dove gli universitari stanno discutendo anche sulla possibilita' di occupare oggi la facolta'. Per mercoledi' mattina, alle 9.30, nell'aula Magna del Corpo Aggiunto, e' prevista, inoltre, un'assemblea della facolta' di Lettere e Filosofia cui sono invitati, oltre gli studenti, anche ricercatori e docenti per dsicutere sulle modalita' di prosecuzione dello stato di agitazione con l'ipotesi ventilata di un blocco della didattica.

venerdì 10 ottobre 2008

Difendiamo la Scuola Pubblica dalla Gelmini



L'attacco all'istruzione pubblica a cui stiamo assistendo in questi ultimi mesi è
gravissimo e senza precedenti.
La scuola elementare Italiana è considerata un modello internazionale per attenzione pedagogica e risultati formativi. Ma con la riduzione dell'orario settimanale a sole 24 ore, con il ritorno al maestro unico e con tagli di oltre 8 miliardi di euro, il governo Berlusconi vuole ledere le fondamenta di una scuola pubblica che dovrebbe formare il futuro della nostra società.
Il governo vuole tutto questo: alimenta la sua politica razzista rimuovendo insegnanti di sostegno per disabili e migranti; abolisce il tempo pieno costringendo le famiglie di lavoratori a cercare qualcuno (a pagamento?) a cui lasciare i propri figli; promette alle famiglie che saranno i comuni a coprire la mancanza – mentre sappiamo bene che non tutte le amministrazioni locali hanno i mezzi per aiutarle. Inoltre la trasformazione delle scuole in fondazioni private rientra nel disegno di una società che guarda al profitto economico e non al valore formativo delle scuole, e sostituisce la crescita dei ragazzi con la competitività d'impresa.
Anche l'università è sotto attacco: anche qui, continue “riforme” e applicazioni di “logica d'impresa” mirano alla distruzione dell'istruzione pubblica a vantaggio
dei privati.
A tutto questo ci opponiamo. E per questo vi invitiamo a lottare per difendere e rilanciare la scuola pubblica.




MERCOLEDÌ 15 OTTOBRE 2008, ORE 17,30 – CAGLIARI
GIARDINETTI VIA BRIANZA (Fronte mercato via Quirra)

ASSEMBLEA POPOLARE E DIBATTITO Con:
CGIL – COBAS – RdB – Gennaro Loffredo (resp nazionale scuola PRC)

a seguire (ore 21) CONCERTO degli RTP ACOUSTIC ENSAMBLE (ska-reggae)

info su: http://difendiamolascuola.blogspot.com

ORGANIZZA: Circolo “A. Gramsci” - Via Doberdo' 101, Cagliari
Partito della Rifondazione Comunista

venerdì 3 ottobre 2008

Ma il lavoro è una merce?

Gianni Loy
Se Air France o Lufthansa potessero pagare a metà prezzo il kerosene, o se le società aeroportuali applicassero tariffe differenziate per favorire le rispettive “compagnie di bandiera” dei rispettivi paesi, ci troveremmo di fronte ad una palese violazione dei tanto sbandierati principi della concorrenza.

Ma se una compagnia aerea, per rimanere nel mercato in posizione concorrenziale, o per sopravvivere, dimezzasse le retribuzioni dei propri dipendenti non corre alcun rischio di incorrere negli strali di Bruxelles. E perché mai? Non è forse semplicistico per una compagnia aerea, stare a galla, in questo caso in aria, grazie alla possibilità di risparmiare pesantemente sui salari? Così son buoni tutti, si direbbe dalle nostre parti.

Il lavoro è una merce. Uno dei fattori della produzione assieme a materie prime, apparecchiature, tasse e kerosene. Ma, curiosamente, mentre la maggior parte di quei beni ha un costo fisso, o quasi, scarsamente negoziabili, sul lavoro sono consentiti ampi margini di manovra. Eppure è la merce più pregiata, perché coinvolge uomini e donne, persone, sino a determinare la qualità della loro esistenza. Perché la CAI non sceglie di risparmiare sul kerosene, o sull’Iva, o sui diritti aeroportuali?

La verità è che questa merce, il lavoro, si va deprezzando. E’ diventato il ventre molle di una globalizzazione che alcuni dei suoi fautori, anche da noi, incominciano a rinnegare ed a vedere con sospetto.
Qualche giorno fa, in un quotidiano di Madrid, veniva esaltato il fatto che nella provincia si è registrato il minor incremento del costo del lavoro di tutta la Spagna. E c’è per questo da stare allegri? Certamente! Perché la morale, peraltro esplicita, era costituita dal conseguente invito ad investire in quel territorio, reso più appetibile dal minor costo del lavoro.
La questione è che si è smesso di esaminare i fenomeni dal punto di vista del lavoro, della dignità e dei bisogni delle persone, considerandoli una “semplice” variabile dipendente dalle fortune dell’impresa.
In questi giorni si sta aprendo una fase di discussione tra sindacati e Confindustria che potrebbe rimettere in discussione una conquista della classe operaia di quasi mezzo secolo, fondata sul doppio livello di contrattazione, quella nazionale di categoria e quella, peraltro eventuale in funzione della forza contrattuale del sindacato nell’azienda. Sarebbe sufficiente un solo livello, volendosi privilegiare quello aziendale, dove a sua volta si vorrebbe che il salario fosse sempre più misurato sulla base della produttività e della redditività dell’azienda. L’ipotesi affascina. Come tutte quelle che promettono, anche se semplicisticamente, semplificazioni burocratiche. Ci casca anche qualche commentatore ritenuto “in quota alla sinistra”, come se il cambiamento fosse sinonimo di progresso. Ma la contrattazione nazionale, secondo l’assetto attuale, quello concordato con il protocollo del luglio 1993, è volta proprio a stabilire i livelli minimi contrattuali per tutti gli appartenenti alla categoria, compreso il recupero dell’inflazione, dopo la scomparsa della scala mobile, per tutti, compresi soprattutto quelli che non hanno l’opportunità o la forza di incrementare il proprio salario mediante la contrattazione aziendale, oggi riservata ai soli incrementi salariali legati alla produttività ed alla redditività.
Eliminare il livello nazionale, soprattutto in un sistema, come quello italiano, domeve non esistono minimi salariali fissati per legge, significherebbe una grave perdita di tutela per i lavoratori di più basso reddito. I lavoratori “forti”, infatti, in un modo o nell’altro, riuscirebbero probabilmente a cavarsela anche ricorrendo al contratto individuale, pericolosa lusinga che ormai sta dietro l’angolo e che finirebbe ancora una volta per togliere ai poveri per dare ai ricchi (relativamente).
L’art. 36 della Costituzione, peraltro, che garantisce anche a livello giudiziario una retribuzione minima sufficiente “ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa” (sic!) trova oggi diffusa attuazione giudiziaria mediante un rinvio ai minimi salariali stabiliti dalla contrattazione nazionale di categoria. Il livello nazionale, insomma, è quello che fissa il salario minimo richiamato, storicamente, dalla nostra costituzione. Peraltro, l’idea di ampliare sempre più la quota variabile del salario legata alla produttività, di per sé legittima se mantenuta entro limiti fisiologici, fa da schermo ad un altro possibile inganno. Legare le maggior retribuzioni alla redditività dell’impresa, posto che questa deriva non solo (a volte per niente) dalla qualità del lavoro dei dipendenti che, pur essendo elevata, può essere vanificata dalle scelte imprenditoriali, significa far gravare sui lavoratori il rischio di scelte strategiche errate dell’imprenditore.
Ma anche legarlo alla produttività può esser fonte di possibili equivoci, se si pensa che questa non dipende solo dalla capacità e dall’applicazione dei dipendenti. In tal caso è più che legittimo ed opportuno tener conto del rendimento individuale e collettivo dei lavoratori, a patto di contenerlo entro limiti che non ripropongano, sotto mentite spoglie (incentivo) i fenomeni più negativi del cottimo. Ma la produttività, sia chiaro, può anche dipendere dai sistemi di produzione e di organizzazione del lavoro adottati dall’impresa. In tal caso, ancora una volta il lavoratore finirebbe per accollarsi , almeno parzialmente.
Cambiare si può, certo, ma prestando la dovuta attenzione a quale sia la posta in gioco e quali le possibili conseguenze delle novità che i vorrebbero introdurre.

Il manifesto sardo, 01/10/2008

giovedì 2 ottobre 2008

Taglia la Gelmini

Giovedì daremo il via alle danze davanti al ministero dell’istruzione, dove “taglieremo” la Gelmini e porteremo la voce degli studenti con il nostro microfono aperto.






Taglia la Gelmini

martedì 30 settembre 2008

Le migrazioni interne, motore dello sviluppo economico cinese

Cari tutti,

qualche giorno fa il Giornale di Sardegna mi ha pubblicato un piccolo articolo sulle migrazioni interne in Cina. Ve lo ripropongo, convinto che il partito ed il movimento operaio, su molte questioni internazionali di estrema importanza, sia quantomeno disattento.

Saluti comunisti,

Enrico Lobina

Le migrazioni interne, motore dello sviluppo economico cinese

Negli anni ottanta i cinesi che andavano dalle campagne alle città erano 30 milioni. Oggi sono 180, e molti dicono arrivino a 200. Da quando Deng Xiaoping ha permesso ai contadini di vendere parte del proprio raccolto, la produttività delle campagne è aumentata. Tutta quella gente là non serviva più.


Aggiungeteci l’industrializzazione, e la combinazione è perfetta. I migranti son stati causa ed effetto del boom economico cinese. Oggi sono il vero segreto della fabbrica del mondo. E non diminuiscono. 150 milioni di lavoratori delle campagne sono ancora in sovrappiù. Al contrario, nel 2004 nella sola regione del Delta del Zhujiang c’era bisogno di 2 milioni di lavoratori migranti.

Son loro la vera ricchezza delle città. Scappano da salari di fame e arrivano in città disposti a lavorare per meno della metà degli altri. Un migrante guadagna in media 60 euro al mese. Un lavoratore cittadino 140. Una parte importante di quei magri salari fa il viaggio inverso, va in campagna a sfamare moglie e parenti. Ogni migrante manda circa 500 euro l’anno a casa.

Fanno i lavori che i cittadini non vogliono più fare. Son migranti 4 manovali su 5, un minatore su 2, un cameriere su 2 e il 70% di coloro che fabbricano materiali elettronici. Le donne son meno degli uomini, e vengono pagate di meno.

A parte le Olimpiadi, durante le quali son stati mandati via, li vedi dappertutto. Se son manovali vivono in prefabbricati ai lati dei cantieri. Spesso condividono il letto con un altro e sono in 6 in stanza. Verranno pagati a fine lavoro. Se il caporale non scappa prima coi loro soldi.

Le leggi che difendono i lavoratori esistono. Ma spesso non vengono applicate. E i migranti, cittadini di serie B per definizione, son coloro che più direttamente subiscono questa situazione. Son cittadini di serie B perché il loro hukou, certificato di residenza, non permette di avere gli stessi diritti di chi in città è nato.

Il governo da una parte lotta per migliorare le condizioni di vita dei migranti. Dall’altra evita a tutti i costi che centinaia di milioni di contadini vengano in città. Le città cinesi non sono come quelle indiane. Non c’è chi vive di elemosina e affini.

I lavoratori migranti, da parte loro, non son contenti. E protestano. Ogni anno sono decine di migliaia gli scioperi, le proteste, i blocchi stradali, le occupazione delle fabbriche e gli scontri con la polizia. Non hanno che da perdere le loro catene, si diceva una volta. Ed è bene che facciano sentire la loro voce. Forse proprio di questo ha bisogno il governo.

sabato 27 settembre 2008

Paolo Ferrero ad Affaritaliani.it: nessun riavvicinamento con Veltroni


Venerdí 26.09.2008 10:32
"Non vedo elementi di riavvicinamento" con il Partito Democratico. Lo afferma ad Affaritaliani.it il segretario di Rifondazione Comunista Paolo Ferrero. "E' vero che Veltroni si è messo a fare opposizione con toni più duri nei confronti di Berlusconi, però, ad esempio, nulla è cambiato rispetto a Confindustria e rispetto e ai temi fondamentali. Saluto positivamente questi toni più duri di Veltroni contro il premier, ma francamente non vedo cambiamenti di rotta strategici. Rapporti ovviamente ne abbiamo con il Pd, ma continuo a pensare che non vi sono le condizioni per un accordo organico e di governo con il Partito Democratico". E le relazioni con gli altri partiti della sinistra radicale? "Ci sono rapporti, tant'è che facciamo insieme la manifestazione dell'11 ottobre con Verdi, Comunisti Italiani, Sinistra Democratica e con tutte le forze della sinistra". Con la legge elettorale per le Europee che vuole la maggioranza - sbarramento al 5% - è possibile riproporre un'alleanza dei partiti della sinistra? "Abbiamo deciso di andare con il simbolo di Rifondazione Comunista e in ogni caso questa discussione verrà fatta, se la legge ci sarà, dopo e non prima. Ora non entro nel merito. La decisione è quella di andare con il simbolo di Rifondazione e di cercare convergenze sul nostro simbolo con chiunque ci stia e sia disponibile. Se poi ci saranno fatti nuovi che ci obbligano a ridiscutere... ridiscuteremo ma questa è stata la scelta decisa dal congresso". E infine: "Sono impegnato a costruire un'opposizione di sinistra in questo Paese, che deve partire dalla piazza anche perché in Parlamento non c'è".

venerdì 26 settembre 2008

Liberazione sciopera contro il Prc


Matteo Bartocci
Oggi edicola più povera. Non ci sarà Liberazione per uno sciopero immediato indetto ieri pomeriggio dall'assemblea dei giornalisti. Una protesta estrema, decisa praticamente all'unanimità, contro il Prc: un «partito editore» che non ha ancora formalizzato nessuna decisione sul futuro del giornale. I giornalisti criticano perfino il comportamento «antisindacale» del partito comunista, con un bilancio ancora riservato e decisioni importanti come il taglio alla free press di Roma e Milano adottate improvvisamente dal cda della testata (Mrc Spa, società al 100% del Prc) senza informare prima direzione e redazione. Scelte drastiche contro cui i giornalisti si batteranno anche oggi con un «picchetto» e un presidio pubblico nella sede del partito e del giornale da mezzogiorno. Lo striscione che calerà dalle finestre di via del Policlinico parla chiaro: «Liquidazione comunista». Contrari invece a uno sciopero che giudicano «puramente politico» i poligrafici della testata, rimasti regolarmente al lavoro. Dopo mesi di voci incontrollate, ieri mattina il presidente del cda Sergio Bellucci ha incontrato il segretario Paolo Ferrero portandogli per la prima volta i conti ufficiali della testata. In serata è stata la volta dell'amministratore delegato. Il bilancio del giornale (pubblicato a norma di legge il 30 agosto scorso) presentava un deficit per il 2007 di 2.038.964 euro. Una voragine ripianata come sempre dal partito. Secondo voci non confermate, la perdita di quest'anno aggravata dai tagli di Tremonti potrebbe arrivare al doppio. Ferrero (contestato oggi come accadde a Bertinotti nel '97-'98) si schiera dalla parte dei lavoratori: «Scioperano contro di me e rispetto le loro ragioni. Certe scelte però non dipendono da me e devono partire dai dati reali. Ho ricevuto il bilancio solo stamattina (ieri per chi legge, ndr ) e ho ribadito al cda la richiesta di informare immediatamente la redazione e di presentarmi proposte di intervento in una situazione di crisi difficilissima». Già stamattina il caso Liberazione sarà discusso in segreteria. Risposte che non convincono affatto la redazione, che non esita a denunciare un «rimpallo disastroso fra proprietà, società editrice e direzione» e accusa il partito di «evidente passività» di fronte alla possibile chiusura del suo giornale. «E' Rifondazione che deve dire cosa vuol fare di Liberazione , quanti soldi ci mette, etc., il cda può fare un piano solo sulla base delle indicazioni della proprietà, cioè del Prc. Lo stesso cda però sfugge a un chiarimento con noi», spiega Andrea Milluzzi del cdr. Obiezioni a cui risponde in serata lo stesso Sergio Bellucci, presidente di Mrc Spa: «E' vero, con il cdr finora abbiamo avuto solo contatti informali ma sanno che tutte le nostre scelte servono a mantenere in vita il giornale. Faremo veramente di tutto perché Liberazione non chiuda». Bellucci smentisce anche un aggravamento dei conti: «Ricavi e vendite non sono lontani dagli anni scorsi. La situazione di oggi è critica soprattutto per i tagli all'editoria e per l'assenza dei finanziamenti di un partito escluso dal parlamento».

giovedì 25 settembre 2008

comunicato stampa Dipartimento Scuola PRC

Comunicato stampa dipartimento scuola e formazione Prc.

GLI INSEGNANTI DI RELIGIONE GUADAGNANO DI PIU’: IL TRIBUNALE DI ROMA CONDANNA IL MINISTERO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE.

Una sentenza del Tribunale di Roma ha condannato il Ministero della Pubblica Istruzione per un prolungato atto discriminatorio nei confronti degli insegnanti precari, vincitori di un pubblico concorso ed inseriti regolarmente nelle graduatorie su posto comune, a vantaggio degli insegnanti di religione cattolica (nominati dal Vicariato ed immessi in ruolo senza concorso). A questi ultimi, durante il periodo di precariato, è riservato un trattamento di favore che consiste in un aumento dello stipendio del 2,5% ogni 2 anni. Dopo 8 anni gli insegnanti di religione guadagnano 130 euro netti in più al mese rispetto ad una/un collega che insegna italiano, matematica, scienze,…Il ricorso fatto, e vinto, dalla professoressa Rizzuto di Roma (alla quale è stato riconosciuto un risarcimento di 2.611,35 euro) crea un importante precedente.

IL PRC METTE A DISPOSIZIONE DEI PRECARI DELLA SCUOLA CHE VORRANNO VEDERSI RICONOSCIUTO IL MEDESIMO DIRITTO, UN UFFICIO LEGALE PER I RICORSI.

Per contatti telefonare alla segreteria del dipartimento nazionale scuola del Prc ai seguenti numeri, 06.44182257 – 06.44182236 o scrivere al seguente indirizzo di posta elettronica scuola.prc@rifondazione.it

Roma, 25 settembre 2008 Gennaro Loffredo
Resp. Naz. Dip. Scuola e Formazione Prc

lunedì 22 settembre 2008

venerdì 19 settembre 2008

Mercatino del Libro al Gramsci

I Giovani Comunisti del Circolo Antonio Gramsci di Cagliari hanno lanciato un ottima iniziativa contro il caro vita: il mercatino del libro usato.
Contro chi vuole una scuola sempre più costosa e per la quale soltanto chi ha il denaro necessario è facilitato i GC rispondono per il terzo anno consecutivo col loro mercatino. Aperti dal lunedì al venerdì, dalle 17.30 alle 20.00!!



Chiunque abbia libri delle scuole medie o superiori e ha intenzione di venderli può portarli in Via Doberdò 101 a Cagliari, i GC del circolo li venderanno per te a metà del prezzo di copertina e tenendo solo il 10% !!

sabato 13 settembre 2008

11 Ottobre: Manifestazione nazionale!!

APPELLO PER LA MANIFESTAZIONE UNITARIA DELL'11 OTTOBRE

Per aderire all'appello:

11ottobre2008@libero.it


Un'altra Italia
Un'altra Politica





Le politiche aggressive del Governo di centrodestra, sostenute in primo luogo da Confindustria, disegnano il quadro di un'Italia ripiegata su se stessa e che guarda con paura al futuro, un Paese dove pochi comandano, in cui il lavoro viene continuamente umiliato e mortificato, nel quale l'emergenza evocata costantemente per giustificare la restaurazione di una società classista razzista e sessista. Che vede nei poveri, nei marginali e nei differenti, i suoi principali nemici. Che nega, specie nei migranti, il riconoscimento di diritti di cittadinanza con leggi come la Bossi Fini che non solo generano clandestinità e lavoro nero, ma calpestano fondamentali valori di umanità.

Questa la risposta delle destre alla crisi profonda, di cui quella finanziaria solo un aspetto, che attraversa il processo di globalizzazione e le teorie liberiste che l'hanno sostenuto. Una risposta che, naturalmente, ignora il fatto che solo un deciso mutamento del modello economico oggi operante può risolvere problemi drammatici, dei quali il pi grave la crisi ecologica planetaria. Spetta alla sinistra contrapporre un'altra idea di società e un coerente programma in difesa della democrazia e delle condizioni di vita delle persone. E' una risposta che non può tardare ed l'unico modo per superare le conseguenze della sconfitta elettorale e politica. Ci proponiamo perciò di contribuire alla costruzione di un'opposizione che sappia parlare al Paese a partire dai seguenti obiettivi:

1. riprendere un'azione per la pace e il disarmo di fronte a tutti i rischi di guerra, oggi particolarmente acuti nello scacchiere del Caucaso.

La scommessa ridare prospettiva a un ruolo dell'Europa quale principale protagonista di una politica che metta la parola fine all'unilateralismo dell'amministrazione Bush, al suo programma di scudo spaziale e di estensione delle basi militari nel mondo, all'occupazione in Iraq e Afghanistan (dove la presenza di truppe italiane non ha ormai alcuna giustificazione), ma anche alla sindrome da grande potenza che sta impossessandosi della Russia di Putin;

2. imporre su larga scala un'azione di difesa di retribuzioni e pensioni falcidiate dal caro vita, il quale causa un malessere che la destra tenta di trasformare in egoismo sociale, guerra tra poveri, in un protezionismo economico del tutto insensibile al permanere di gravi squilibri tra il Nord e il Sud del mondo. Di fronte alla piaga degli "omicidi bianchi" necessario intensificare i controlli e imporre l'applicazione delle sanzioni alle imprese. Si tratta inoltre di valorizzare tutte le forme di lavoro: lottando contro precariato e lavoro nero, anche attraverso la determinazione di un nuovo quadro legislativo; sostenendo il reddito dei disoccupati e dei giovani inoccupati; ottenendo il riconoscimento di forme di lavoro informale e di economia solidale;



3. respingere l'attacco alla scuola pubblica, all'Università alla ricerca e alla cultura, al servizio sanitario nazionale, ai diritti dei lavoratori e alla contrattazione collettiva. E' una vera e propria demolizione attuata attraverso un'azione di tagli indiscriminati e di licenziamenti, l'introduzione di processi di privatizzazione, e un'offensiva ideologica improntata a un ritorno al passato di chiaro stampo reazionario (maestro unico, ecc.). L'obiettivo della destra al governo colpire al cuore le istituzioni del welfare che garantiscono l'esercizio dei diritti di cittadinanza. L'affondo costituito da un'ipotesi di federalismo fiscale deprivato di ogni principio di mutua solidarietà



4. rispondere con forza all'attacco contro le politiche volte a contrastare la violenza degli uomini contro le donne, riconoscendo il valore politico della lotta a tutte le forme di dominio patriarcale, dell'autodeterminazione delle donne e della libertà femminile nello spazio pubblico e nelle scelte personali;



5. sostenere il valore della laicità dello stato e riconoscere diritto di cittadinanza alle richieste dei movimenti per la libera scelta sessuale e per quelle relative al proprio destino biologico;



6. sostenere le vertenze territoriali (No Tav, No Dal Molin, ecc.) che intendono intervenire democraticamente su temi di grande valore per le comunità, a partire dalle decisioni collettive sui temi ambientali, sulla salute e sui beni comuni., prima fra tutti l'acqua. Quella che si sta affermando con la destra al governo un'idea di comunità corporativa, egoista, rozza e cattiva, un'idea di società che rischia di trasformare le nostre città e le loro periferie nei luoghi dell'esclusione. Bisogna far crescere una capacità di cambiamento radicale delle politiche riguardanti la gestione dei rifiuti e il sistema energetico. Con al centro la massima efficienza nell'uso delle risorse e l'uso delle fonti rinnovabili. Superando la logica dei megaimpianti distruttivi dei territori, del clima e delle risorse in via di esaurimento. E' fondam entale sostenere una forte ripresa del movimento antinuclearista che respinga la velleitaria politica del governo in campo energetico.



7. contrastare tutte le tentazioni autoritarie volte a negare o limitare fondamentali libertà democratiche e civili, a partire dalle scelte del governo dai temi della giustizia, della comunicazione e della libertà di stampa. O in tema di legge elettorale mettendo in questione diritti costituzionali di associazione e di rappresentanza. Si tratta anche di affermare una cultura della legalità contro le tendenze a garantire l'immunità dei forti con leggi ad personam e a criminalizzare i deboli.





Per queste ragioni e con questi obiettivi vogliamo costruire insieme un percorso che dia voce ad un'opposizione efficace, che superi la delusione provocata in tanti dal fallimento del Governo Prodi e dalla contemporanea sconfitta della sinistra, e raccolga risorse e proposte per questo paese in affanno. L'attuale minoranza parlamentare non certo in grado di svolgere questo compito, e comunque non da sola, animata com' da pulsioni consociative sul piano delle riforme istituzionali, e su alcuni aspetti delle politiche economiche e sociali (come tanti imbarazzati silenzi dimostrano, dal caso Alitalia all'attacco a cui sottoposta la scuola, dalla militarizzazione della gestione dei rifiuti campani alle ordinanze di tante amministrazioni locali lesive degli stessi principi costituzionali).



Bisogna invece sapere cogliere il carattere sistematico dell'offensiva condotta dalle destre, sia sul terreno democratico, che su quelli civile e sociale, per potere generare un'opposizione politica e sociale che abbia l'ambizione di sconfiggere il Governo Berlusconi. Quindi, proponiamo una mobilitazione a sinistra, per "fare insieme", al fine di suscitare un fronte largo di opposizione che, pur in presenza di diverse prospettive di movimenti partiti, associazioni, comitati e singoli, sappia contribuire a contrastare in modo efficace le politiche di questo governo.



Al tal fine proponiamo la convocazione per l’11 ottobre di un'iniziativa di massa, pubblica e unitaria, rivolgendoci a tutte le forze politiche, sociali e culturali della sinistra e chiedendo a ognuna di esse di concorrere a un'iniziativa che non sia di una parte sola. Il nostro intento contribuire all'avvio di una nuova stagione politica segnata da mobilitazioni, anche territorialmente articolate, sulle singole questioni e sui temi specifici sollevati.



giovedì 11 settembre 2008

Chiediamo con forza le dimissioni di La Russa e di Alemanno


Dichiarazione di Claudio Grassi, ex senatore della Repubblica e Coordinatore nazionale di Essere comunisti

Non è possibile assistere in silenzio allo spettacolo indecoroso che esponenti di spicco del centro-destra ed esponenti del governo stanno dando in queste ore.
Prima il sindaco di Roma Gianni Alemanno che «non condanna» il fascismo ma solo le leggi razziali e ora il ministro La Russa che chiede «rispetto» per i combattenti repubblichini di Salò.
Questo non è più soltanto revisionismo storiografico, ma è il tentativo dall'alto di istituzionalizzare una visione della storia giustificazionista del regime fascista e quindi in insanabile contraddizione non solo con la verità storica ma anche con la natura democratica e resistenziale della Costituzione italiana.
In un Paese in cui la Carta costituzionale avesse un valore - innanzitutto per le istituzioni - quel sindaco e quel ministro si sarebbero già dimessi.
E' quello che noi chiediamo con forza.

venerdì 5 settembre 2008

Una volta si diceva "la cultura non ha prezzo"...

La ministra Gelmini giustifica senza troppi giri di parole il ritorno al maestro unico con un: "si è passati ai tre maestri per affossare le casse dello Stato"... è venuto il momento di tagliare il superfluo: scuola e università. Saranno migliaia i maestri che rimarranno a casa. Laureati che andranno ad aggiungersi ai già tantissimi in cerca di un impiego.
Ed è quantomeno paradossale che lo studio della Carta Costituzionale venga introdotto proprio da quella parte politica che ha come unica ragione di esistere l'aggirarne i principi, in nome degli interessi personali del suo leader.
Per non parlare poi dell'annunciato arrivo della Scuola-fondazione...
La scuola e le università italiane formano il capitale umano che tutto il mondo, in primis gli Stati Uniti, ci invidia. Nemmeno i più ortodossi maestri del capitalismo negherebbero che senza accumulazione di capitale umano non c'è crescita economica. Con i tagli alle scuole e alle università si continua ad impoverire la qualità dell'insegnamento e incentivare la fuga all'estero dei laureati: è questa la soluzione ai problemi economici (come se ci fossero soltanto quelli) dell'Italia?
Basta con i tagli; l'Istruzione non è un bene disponibile! Alla lotta!

SCUOLA · Dopo il decreto del governo, assembleee e proteste negli istituti italiani
Maestro unico, scoppia la rivolta degli insegnanti

Andrea Gangemi
ROMA
All'indomani del doppio colpo di mano del governo sulla riforma scolastica (prima il ricorso d'urgenza al decreto, poi l'introduzione del maestro unico alle elementari nel testo pubblicato sulla gazzetta ufficiale) le prime a muoversi sono proprio le scuole primarie, per le quali la misura significa il taglio di centomila posti di lavoro e la fine del tempo pieno. A Trieste il comitato contro la restaurazione del maestro unico ha indetto un sit-in alle 18 in piazza Borsa, mentre a Roma un'assemblea aperta di insegnanti e genitori è prevista alle 9 presso l'istituto «Iqbal Masih». Il centro studi per la scuola pubblica (Cesp) di Bologna ha lanciato invece, insieme al coordinamento nazionale in difesa del tempo libero e prolungato, una campagna nazionale con una raccolta di firme da inviare al ministero dell'Istruzione. Sempre il Cesp sta preparando un ingresso «in ritardo» per l'apertura dell'anno scolastico, il 15 settembre, e una manifestazione il 27 a piazza Maggiore a Bologna. E una mobilitazione unitaria delle principali sigle sindacali è prevista per il 10 settembre ad Ancona. In questa prima fase, secondo Volfango Pirelli, della Flc-Cgil «occorre estendere le informazioni sulla discussione, o c'è il rischio di isolare le elementari dalle altre scuole». «Non cerchi il ministro improbabili legittimazioni pseudopedagogiche» dice invece Francesco Scrima, segretario generale Cisl scuola. «E' chiaro - spiega - che questo provvedimento ha una sola fonte "pedagogica": il ministero dell'Economia». E per il leader della Uil scuola, Massimo Di Menna «gli interventi vanno fatti con il bisturi, non con l'accetta, razionalizzando dove necessario ma senza strattonare la scuola pubblica italiana come prevede questa misura». In Calabria, dove i tagli delle cattedre superano abbondantemente le seicento unità, si schiera contro il decreto Gelmini anche il vicepresidente della Regione con delega alla pubblica istruzione, Domenico Cersosimo. «Dietro c'è solo la necessità di risparmiare - dice - a prescindere dai contenuti». E pure i vescovi bocciano la ministra: «Il lavoro d'equipe può garantire maggiore apprendimento per i bambini - afferma l'esperto di scuola della Cei Alberto Campoleoni - allora perché cambiare?».
il manifesto, 04/09/2008

martedì 2 settembre 2008

Continua il terrorismo mediatico contro il Prc e i Comunisti

In risposta agli articoli apparsi su Repubblica nei giorni scorsi. Vedi "Così Rifondazione aiutò i rapitori della Betancourt" http://www.repubblica.it/2008/04/sezioni/esteri/betancourt-farc/betancourt-rifondazione/betancourt-rifondazione.html?ref=search

Ferrero: Quelli non sono terroristi tenevamo i contatti per favorire la pace
Repubblica — 01 settembre 2008
ROMA - «E di che ci accusa questo dossier del governo colombiano? Di aver finanziato con 1400 euro, dico 1400, le Farc? Di aver pagato le medicine ad un loro dirigente molto malato? Bene. A questo punto mi autodenuncio anch' io: confesso di aver aiutato degli immigrati clandestini in Italia che avevano un gran bisogno di cure sanitarie». Anche quando faceva il ministro del governo Prodi, segretario Paolo Ferrero? «E' capitato anche in quella fase, sì. Gesti minimi di umanità, come - se poi è davvero andata così - nel caso di Lucas Gualdron, profugo della Colombia». Però le Farc, secondo l' Onu e la Ue, rappresentano un' organizzazione terroristica. «In quella lista nera entrarono "grazie" agli imput degli Stati Uniti, sull' onda dell' 11 settembre, che hanno portato poi alla guerra in Afghanistan e in Iraq. Una linea che non mi pare esattamente vincente. Quella lista nera noi l' abbiamo sempre contestata». Le Farc non sono dei terroristi? «Non lo sono in relazione alla situazione concreta, e drammatica, del loro paese. Dove, per dirne una, imperversano gli squadroni della morte, con i quali il governo colombiano ha molti punti di contatto. Una situazione simile a quella del Pkk, e infatti anche per il partito di Ocalan abbiamo senpre contestato quell' etichetta "terrorista". Si tratta di organizzazioni guerrigliere». Torniamo alle mail. Il dubbio è che il Prc abbia stretto con le Farc non tanto relazioni politiche quanto un patto di collaborazione. «Solo rapporti politici, stretti all' epoca del processo di pace ma andati avanti anche quando quel cammino si è interrotto. Una scelta che rivendico in toto. O ci mettevamo anche noi sull' attenti, a guardare passivamente prevalere la logica della guerra, oppure ci davamo da fare per riannodare i fili del dialogo. E questo abbiamo fatto. E Ramon Mantovani, nostro deputato nella Commissione Esteri, ne ha sempre puntualmente informato il presidente della Camera. Casini prima, Bertinotti poi». Il governo colombiano la pensa diversamente. Ha protestato con quello italiano per certe "trattative" non autorizzate da parte di Rifondazione. «Risponderà il governo italiano. Ma non abbiamo mai condotto alcuna "trattativa" con le Farc. Del resto, abbiamo sempre pubblicamente condannato i sequestri compiuti dai guerriglieri, a cominciare da quello della Betancourt. C' è qualcuno che pensa davvero che Rifondazione vuol fare politica con i rapimenti? Ma per favore. Io, poi, sono pure di religione valdese». Non sarebbe stato il caso, allora, con la Betancourt nelle loro mani, di chiudere i contatti con le Farc? «Non si chiudono i processi che puntano alla pace. Vorrebbe dire darla vinta allo scontro, alle armi. Anche nell' interesse stesso degli ostaggi». Insomma, nè con il governo colombiano né con le Farc? «Non siamo in Colombia, ma quel paese vive in condizioni molto pesanti. Le Farc non rappresentano un' epifenomeno, ma una cosa seria. E il governo ha molti aspetti antidemocratici, coinvolto nel narcotraffico. La Colombia ha il record di omicidi di sindacalisti». (u.r.)

Alfio Nicotra
Ci permetteranno i cagionevoli di memoria ma fino a qualche anno fa anche l'African National Congress di Nelson Mandela o l'Olp di Yasser Arafat erano trattati in occidente come organizzazioni terroristiche. Vogliamo poi parlare del Fronte Polisario o di José Ramos Horta leader del fronte di liberazione di Timor Orientale? Stesso trattamento. Lo stesso Dalai Lama - i cui monaci tibetani usano metodi di resistenza non soltanto nonviolenti - non è forse per la Cina considerato un terrorista? Eppure non vediamo nessun Omero Ciai di oriente - grazie al cielo - che dia fiato su la Repubblica ai dossier di Pechino.Abbiamo trattenuto relazioni con le Farc anche dopo la rottura del processo di pace, così come abbiamo continuato a tenerle con il subcomandante Marcos e l'Ezln anche quando nel '95 era ricercato e il presidente Zedillo voleva arrestare il vescovo Samuel Ruiz perché suo presunto ispiratore ideologico. In Messico quella nostra ostinazione venne coronata dal successo perché il Parlamento sospese gli ordini di cattura e varò una legge di Concordia e Pacificazione che ha consentito di riannodare il dialogo. Questo obiettivo purtroppo non è ancora dato in Colombia ma rimane l'unica soluzione: riconoscimento reciproco delle parti, sospensione delle attività militari, avvio di un processo di riconciliazione e di coinvolgimento democratico. Di questo siamo accusati: di volere e lavorare per la pace.Vorrei esprimere a Marco Consolo, Ramon Mantovani, Gennaro Migliore e Fabio Amato - chiamati in causa dal dossier del governo colombiano - la mia totale solidarietà. Non solo perché ho condiviso ogni loro passo sulla vicenda colombiana ma perché hanno agito dentro una idea collettiva di un'altra politica internazionale. Si chiama in vario modo: diplomazia parallela, popolare, dal basso. E' quella che abbiamo praticato - spesso lontano dai riflettori e nella dovuta riservatezza - dalla fondazione del nostro partito ad oggi. Con un obiettivo: aiutare i processi di pace e di emancipazioni dei popoli. Rispetto al "vecchio" internazionalismo proletario non ci siamo dedicati a fare il tifo per una delle parti in causa. Abbiamo deciso di guardare il mondo con gli occhi delle vittime e di scegliere di rappresentarne quel punto di vista nell'ostinata costruzione di ponti di dialogo dando voce a chi non ce l'aveva. Abbiamo con la stessa determinazione aiutato i disertori jugoslavi, la società civile africana, i parlamenti in esilio kurdo e della Birmania. Abbiamo attraversato i luoghi del dolore dai campi profughi nel deserto algerino, alla Sarajevo assediata, nella Baghdad e Beirut in fiamme, alla Belgrado sventrata dai bombardamenti Nato. Abbiamo lasciato sul campo per aver praticato questa linea politica - non ne parliamo quasi mai per un senso di antieroismo, ma forse sbagliamo - anche due giovani vite . Guido Puletti nella Bosnia del '93 e Angelo Frammartino in un mercato di Gerusalemme nell'estate 2006.Questa è la politica estera di Rifondazione comunista: non una enunciazione ideologica ma una azione concreta contro le ingiustizie del nostro mondo.Sappiamo per questo di essere scomodi perché scomode sono le richieste di tanta parte dell'umanità ignorate dall'agenda dei potenti. Anzi, come in Colombia, disperazione, tortura, miseria, assassini e sparizioni illegali sono figli di vere e proprie scuole di addestramento di terroristi (questi si!) come la scuola de Las America, monumento al golpismo della CIA in America Latina. Per non parlare del Plan Colombia formalmente contro il narcotraffico invece motore di sviluppo dell'economia illegale della droga.Vorremo dire al sen. Gasparri e all'on. Laboccetta di prepararsi a farne centinaia di interrogazioni al loro governo. Dal loro punto di vista non possiamo che essere tutti e tutte colpevoli."Essere pacifisti nelle cittadelle della ricchezza dell'oggi significa essere eversori dell'ordine delle cose esistenti" scriveva alcuni anni fa Padre Ernesto Balducci. Si, lo confessiamo, siamo eversori. Perché la pace è la vera eversione dei nostri tempi.
Liberazione, 02/09/2008

lunedì 1 settembre 2008

Ora e sempre Resistenza!


Il fascismo è stato già sconfitto e dichiarato fuorilegge: chiediamo a gran voce giustizia!
I GC Sardi esprimono solidarietà al compagno barbaramente aggredito. Ci troviamo di fronte a un vero allarme sociale: la presenza nel governo di esponenti storici della destra fascista non fa che legittimare gli autori di questi attacchi!
Il clima di emergenza costruito ad arte dal Palazzo e dai media genera nei benpensanti il desiderio di ordine e disciplina, e arricchisce le fila del neo-squadrismo. La proiezione di Nazirock, la prima Festa Popolare Antifascista sono stati dei momenti di condanna di queste forme di violenza, premiati dalla partecipazione dei cittadini. Combattiamo! Per lo scioglimento di ogni organizzazione neo-fascista! Per fermare la violenza xenofoba e razzista!

L'Esecutivo Regionale

«Avevano coltelli e urlavano
zecche di merda vi uccidiamo»


Davide Varì
«Ma non ti rendi conto che cosa stai facendo?». Sono le ultime parole che F., 28 anni, ha rivolto al suo aggressore prima di crollare a terra ferito da una coltellata, uno squarcio di quindici centimetri alla gamba destra.
No, evidentemente l'aggressore non si rendeva conto di quel che faceva. O forse se ne rendeva conto fin troppo bene visto che prima di fuggire - inghiottito dalla notte e dal buio dal quale era spuntato d'improvviso - ha rifilato anche un calcione a F. che era lì a terra, ferito e inerme. Quando si dice il coraggio. E poi, prima di fuggire, gli insulti: «Zecche di merda vi accoltelliamo tutte».
Insomma, venerdì notte, a Roma, c'è stata l'ennesima aggressione fascista. Un'aggressione studiata, pianificata e organizzata fin nei minimi dettagli. A cominciare dal giorno scelto per eseguirla: il giorno dell'anniversario della morte di Renato Biagetti, il ragazzo ucciso il 27 agosto di due anni fa a Focene per mano di due giovani.
«Saranno state le tre di notte ed eravamo di ritorno da una festa a Pirateria, una festa per ricordare Renato Biagetti», racconta uno degli aggrediti. «Eravamo in quattro e camminavamo a coppie di due a qualche decina di metri di distanza l'una dall'altra. D'improvviso abbiamo sentito le urla. Ci siamo immediatamente resi conto che eravamo vittime di una aggressione. Non ci hanno dato il tempo di far nulla. Avevano catene e coltelli».
Nulla di casuale, nessuna "fatalità". Quella dell'altra notte è stata una aggressione fascista, un agguato a tutti gli effetti. «Erano lì che ci aspettavano chissà da quante ore - racconta ancora uno dei ragazzi aggrediti -. Hanno tirato fuori le "lame" e alcuni, i più giovani, erano meno esperti, ma altri le padroneggiavano perfettamente. Era gente addestrata». Già, gente abituata ad aggredire di nascosto in tipico stile fascista.
«Avevano le teste rasate, erano armati di coltelli e catene: si è trattato di un vero e proprio agguato premeditato», racconta un altro testimone di quanto accaduto ieri l'altro.
«Dopo il concerto, intorno all'una di notte - racconta - ci siamo spostati al centro sociale Pirateria che dista poche centinaia di metri dal parco dove si era svolto il concerto. Alle quattro abbiamo deciso di tornare a casa, la strada era deserta: dopo alcuni metri abbiamo sentito delle grida: dieci ragazzi vestiti con magliette nere e teste rasate hanno cominciato ad insultarci, quindi, si sono avvicinati e ci hanno aggredito»
«A uno di noi, F., sono state inferte almeno tre coltellate ed una lo ha ferito alla coscia e, una volta a terra, preso a calci in faccia. Anche io sono stato picchiato e scaraventato con violenza a terra».
L'aggressione è durata pochi attimi. «Dopo averci colpito - spiega ancora il ragazzo- sono fuggiti a piedi. E' stata una vera e propria provocazione di stampo neofascista in una serata in cui ricordavamo un nostro compagno ammazzato proprio da estremisti di destra».
E poi quel sinistro riferimento alla morte di Renato Biagetti. Un aggressione, dunque, che ha tutta l'aria di una rivendicazione di quanto accaduto la notte del 27 agosto di due anni fa.
Quel giorno Renato usciva da una dance hall reggae sulla spiaggia di Focene e fu aggredito da due giovani scesi dalla loro auto coltelli alla mano. Gli urlarono di tornare a casa, che quello non era il loro territorio. Colpirono Renato che, a 26 anni, morì poche ore dopo in ospedale.
Si parlò, e gran parte della stampa parla ancora, di rissa. Ecco, se qualcuno ha ancora qualche dubbio circa la matrice dell'aggressione che ha portato alla morte di Biagetti, quella dell'altra sera sembra fugare ogni dubbio. L'aggressione di ieri e quella di due anni fa è stata una tipica aggressione fascista. Stesse modalità e stesse dinamiche. Ma almeno, e solo per puro caso, stavolta il morto non c'è stato.
Questa volta neanche il sindaco Gianni Alemanno può nascondersi dietro al rissa tra ragazzi: «Esprimo ferma condanna per questo grave episodio di violenza che, secondo le testimonianze delle vittime, sembra essere di natura politica», ha dovuto ammettere il sindaco.
«Mi auguro - ha poi sottolineato Alemanno - che gli inquirenti siano in grado di assicurare subito alla giustizia i responsabili di questo gesto criminale, verificando con assoluta certezza se dietro di esso esista una forma organizzata di estremismo di destra».

Liberazione, 31/08/2008

giovedì 28 agosto 2008

Il Pd persevera con la linea anti-Prc. E Sd vorrebbe una sinistra senza comunisti...


Milano, il Pd chiude la porta a Rifondazione

Dopo la lite a Bologna scoppia il «caso Penati». Per i democratici «è impensabile allearsi col partito di Ferrero». Ma i rifondaroli vogliono rimanere in giunta e insistono su un'improbabile «unità» Il segretario provinciale Casati: «No a alleanze eterogenee». Sd si accoda: «Basta comunisti, ci vuole una sinistra nuova»
Alessandro Braga
MILANO


«Quella è la porta». Non ha detto proprio così, ma poco ci è mancato. E con una nemmeno tanto gentile perifrasi il segretario provinciale milanese del Partito democratico Ezio Casati ha chiuso definitivamente i giochi su una, ormai da tempo impossibile, alleanza tra il Pd e Rifondazione comunista in previsione delle prossime elezioni provinciali meneghine previste per la primavera del 2009. «Con la vittoria congressuale di Paolo Ferrero ha vinto la parte del non governo. Non sono disposto a pensare a un programma di 258 pagine in cui ci sia dentro tutto e il contrario di tutto», ha detto Casati. Insomma, una riedizione di una coalizione «così come è stata fatta nel 2004 sarà molto difficile». Avrebbe tranquillamente potuto dire impossibile, ma meglio non esagerare, anche perché nell'ultima tornata amministrativa provinciale milanese, quella che ha portato Filippo Penati a palazzo Isimbardi, il Prc, in un boom elettorale impensabile in questo momento, aveva portato in dote alla coalizione di centrosinistra un bottino di circa due milioni di voti, risultati fondamentali per sconfiggere la destra. Ma le dichiarazioni di Casati suonano in ogni caso come una porta sbattuta in faccia senza troppi complimenti al Prc. Se si dovesse rendere la situazione in una striscia a fumetti si vedrebbe insomma un enorme «Slam!» a tutta pagina. E, ciliegina su una torta ormai rancida, ci si è messa pure la coordinatrice provinciale di Sinistra democratica Chiara Cremonesi: «Serve una sinistra nuova, che si ponga l'obiettivo del governo. Il Prc con l'ultimo congresso ha fatto una scelta identitaria e antagonista, noi non ci stiamo». In chiave fumettistica, un'altro, fragoroso, «Slam!».Segnali che facevano presagire il finale ce n'erano già stati in passato, e parecchi. Da mesi il presidente-sceriffo milanese Filippo Penati sta facendo a gara con la Lega al giochino «chi è più di destra». E non fosse per il fatto che il copyright sulle uscite razziste nel panorama italiano spetta ormai da un paio di decenni ai Lumbard, con campioni a livello continentale, come l'europarlamentare Mario Borghezio (quello che disinfettava i treni dove salivano le prostitute di colore), o l'ormai tanto declamato «uomo del dialogo bipartisan» Roberto Calderoli e le sue passeggiate con suino a seguito nelle aree dove si dovevano costruire delle moschee, l'uomo di palazzo Isimbardi avrebbe anche potuto vincere la sfida. Le sue ultime uscite, dall'attuazione del codice della strada per impedire ai musulmani di viale Jenner di pregare sui marciapiedi il venerdì all'enfasi securitaria con cui ha accolto i provvedimenti del governo Berlusconi sui militari nelle strade, alle dichiarazioni anti-rom fatte nell'ultimo periodo, erano tutti tasselli di un progetto finalizzato a mettere la sinistra in un angolo, costringendola al bivio «rompere con il Partito democratico» o «apparire come lo scendiletto di Penati di fronte alla deriva destrorsa del presidente».Gli unici che sembra non se ne siano ancora accorti sono proprio i rifondaroli milanesi. Che ancora ieri, per bocca del segretario provinciale Antonello Patta, hanno chiesto la verifica del programma, così come deciso da una riunione dei segretari provinciali il 30 luglio scorso, ponendo l'ennesimo «penultimatum». «Gli accordi si verificano sui programmi - ha detto Patta - ai primi di settembre abbiamo in agenda un incontro in Provincia in cui metteremo sul tavolo i nostri paletti per continuare a far parte della maggioranza che governa palazzo Isimbardi: che l'acqua resti pubblica, un secco No alla svendita dei terreni del parco sud alle brame edilizie del sindaco Moratti e, soprattutto, chiare politiche sociali a favore dei rom e dei migranti». Perché, «di fronte a dichiarazioni sbagliate di un presidente, che a livello amministrativo non hanno però conseguenze pratiche, l'unico modo per contare e essere fondamentali è restare uniti». Ai primi di settembre si vedrà chi chiuderà la porta in faccia a chi. A livello nazionale una cosa simile si è già vista: il risultato ottenuto è al governo.



il manifesto, 27/08/2008